IL RAFFIO |
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Catch and Release! Imperativo categorico: prendi e rilascia! Se facessimo un sondaggio tra tutti i pescatori , qui, in Italia, rimarremmo sorpresi dall’unanimità della risposta alla seguente domanda: Pratichi il “Catch and release?”. Tutti risponderebbero: “Si, certamente”. E tutti si riterrebbero nel giusto, nel pieno rispetto delle regole, in perfetta armonia con l’ambiente che li circonda. Poi, però, quasi tutti aggiungerebbero: “Trattengo solo ciò che mangio”. Quindi, se è sicuro che tutti i pescatori “prendono”, non possiamo dire altrettanto che tutti “rilasciano”. Credo che portarsi a casa qualche pesce, soprattutto se ha le carni prelibate, sia un comportamento corretto dal momento che l’alternativa sarebbe quella di passare dal pescivendolo per acquistare pesci che altri pescatori hanno catturato; il risultato finale non cambia: un bel pesce sarà protagonista sulla nostra tavola imbandita. Allora continuiamo a “prendere” e “rilasciare” con raziocinio, spostando la nostra attenzione sul vero problema: “Come rilascio?” E’ perfettamente inutile rimettere i pesci in acqua, se, durante e dopo la cattura, sono stati maltrattati. Spesso vengono rilasciati pesci che andranno a morire in breve tempo a causa delle sofferenze subite. Eppure sono sufficienti pochi e semplici accorgimenti per non recare loro violenza. Tra i più elementari: bagnarsi le mani prima di toccarli, togliere l’amo (senza ardiglione) mantenendo il pesce in acqua, non perdere troppo tempo nel fare foto ricordo, non usare mai il raffio. A proposito di questo accessorio i pareri sono discordanti. Tutti capiscono che è l’unico attrezzo adatto per salpare grosse prede. Tutti capiscono che non si può rilasciare un pesce con una ferita aperta nel suo corpo da una “coltellata” rabbiosa. Tutti deducono, quindi, che si raffiano solo i pesci che vogliamo trattenere. E quelli che desideriamo rilasciare ma ci troviamo in situazioni difficili come mare mosso, sponde alte, prede di taglia che non entrano nel guadino? Per quelli il raffio va usato non per arpionare ma per salpare. Facile a dirsi, difficile a farsi, infatti, il rischio di perdere la preda è alto; ma poiché avevamo già deciso di rilasciarla possiamo anche accettare questa ulteriore sfida. Per salpare un grosso pesce col raffio dobbiamo avere molta pazienza ed aspettare che, sfinito dalla lotta, si lasci avvicinare docile, appoggiato su di un fianco. E’ questo il momento di mettere il raffio in una delle branchie, senza bruschi colpi, e trascinarlo sulla riva o sullo scoglio avvolgendolo con uno straccio di tela bagnato e coprendogli gli occhi. Meglio se, nel fare queste operazioni, possiamo contare sull’aiuto di un amico. Credo che questo sia l’unico modo saggio per poter usare il raffio senza recare ferite spesso mortali ed essere in grado di rilasciare i nostri splendidi avversari con la certezza di avere fatto la cosa giusta. Adesso che abbiamo trovato un modo accettabile per usare il raffio possiamo anche trovare il tempo per progettarne la sua costruzione. UTENSILI E MATERIALI. E’ consigliabile, prima di cominciare la costruzione, preparare gli utensili e tutto il materiale necessario. Prendete l’abitudine di annotare misure, pesi, modifiche. Gli utensili: morsa da banco, raspa, sega per legno, trapano, mola da banco, guanti e occhiali protettivi. I materiali:tondino d’acciaio inox, colla cianoacrilica, carta abrasiva, colla per legno. tappi di sughero per damigiane, pasta abrasiva per lucidare, tappo in gomma, quadrello di legno, punta per trapano, scalpello, martello. |
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Dobbiamo procurarci un tondino di acciaio inox (diametro 0,6 – 0,7mm.,) lungo 90cm. Lo possiamo trovare presso un’officina meccanica o presso i rivenditori di profilati metallici.
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Con l’aiuto di una mola da banco cominciamo a realizzare la punta del raffio. E’ un lavoro delicato e progressivo in cui dovremo proteggere le nostre mani dal surriscaldamento dell’acciaio dovuto all’attrito con la mola. Ideali un paio di guanti da lavoro. Per sicurezza proteggiamoci anche gli occhi con un paio d’occhiali poiché le piccolissime particelle d’acciaio volano in tutte le direzioni. |
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Il risultato ottenuto deve mostrare una punta ben affilata e modellata. Per fare in modo che l’acciaio sia perfettamente lucido e brillante, si utilizzerà una pasta per cromature brillanti. |
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Passiamo alla costruzione del manico. Lo faremo in sughero utilizzando sei tappi di damigiana (diametro maggiore 4mm, e altezza 4,5mm.). Dobbiamo praticare un foro passante, al centro, con una punta di diametro inferiore rispetto a quello del tondino d’acciaio; quindi una punta del numero 4 o 5 abbinata ad un trapano. Il sughero è un materiale che cede facilmente e, per evitare che il nostro foro divenga una voragine, dobbiamo agire con pochissima pressione. Consiglio di praticare metà foro da una parte e metà dall’altra. |
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Inseriremo uno alla volta i sei tappi. Alterniamo la loro posizione facendo combaciare una faccia maggiore con una minore. Mettiamo, tra un tappo e l’altro della colla per legno (tipo Vinavil). Facciamo combaciare meglio possibile i tappi pressandoli tra loro e lasciamo seccare la colla per almeno 2 giorni. Da notare che, per il momento, non abbiamo ancora fissato i tappi al supporto d’acciaio. |
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Sicuri che la colla abbia fatto forte presa, posizioneremo quello che adesso è un unico pezzo di sughero in modo che sporgano 2cm. del tondino d’acciaio(estremità opposta alla punta). Questa eccedenza ci permetterà di fermare il tondino al trapano, prima bloccato ad una morsa da banco. Facciamo girare il trapano ad una velocità media. Con una mano protetta dal guanto cercheremo di tenere il tondino d’acciaio più in asse possibile per evitare forti vibrazioni, mentre con l’altra mano passeremo, senza troppa pressione, della carta abrasiva sul sughero, nel tentativo di portare il diametro del manico a 24 -25mm. Alla fine della carteggiatura avremo cura di raccogliere tutta la segatura prodotta, poiché ci sarà utile nella successiva fase.
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Sarà facile raggiungere le dimensioni volute (figura A). Poiché il sughero è un materiale altamente poroso e non omogeneo ci troveremo ad avere la superficie del manico con notevoli buchi e fessure. In un piccolo contenitore mescoleremo la segatura raccolta nella fase precedente con colla Vinavil, diluita in acqua, per ottenere un impasto molto liquido. Con un pennello copriremo abbondantemente il manico (figura B) e lasceremo asciugare per due giorni. |
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Con carta abrasiva molto sottile toglieremo l’eccesso di segatura e otterremo un manico perfettamente levigato e uniforme. |
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Nella foto un particolare dell’estremità anteriore del manico prima della carteggiatura. |
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All’estremità posteriore metteremo un tappo in gomma come protezione. Ma prima incolleremo, nella giusta posizione il manico per impedire che possa scorrere, nel tempo, lungo l’asse d’acciaio. |
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La fase più difficile è quella della curvatura dell’acciaio per formare l’uncino. Per coloro che avranno a disposizione un’officina meccanica sarà un gioca da ragazzi. Per gli altri sarà necessario costruire una dima molto particolare per facilitare il lavoro. Occorre avere un quadrello di legno (10cm. x 10cm.) su cui disegneremo (figura A) il profilo dell’uncino che desideriamo realizzare (magari ricopiandolo da un altro raffio). Nella figura B, con una sega a legno e/o uno scalpello toglieremo il legno in eccesso. Con il trapano ed una punta del n°6 praticheremo un foro (figura C) dove alloggerà la punta del raffio (profonda almeno 5-6cm.). Il quadrello dovrà essere fissato alla morsa da banco e, dopo aver fatto penetrare la punta nel foro (figura D) inizieremo a piegare l’acciaio seguendo la curvatura della dima. |
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Ecco il momento finale della piegatura. Facciamo attenzione, quando forziamo con le mani a tenerle molto vicino alla dima e non distanti , lungo il tondino e vicino al manico, perché, in questo caso, avremmo un raffio col l’asse storto. Invece solo la punta deve essere piegata. |
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Se il nostro lavoro è stato eseguito correttamente, avremo un raffio con uno splendido uncino. Nell’insieme risulterà molto equilibrato, proporzionato, efficace e, diciamolo pure, bello a vedersi. |
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